Ora Terza
Era l’ora terza quando lo crocifissero
Da duemila anni quell’ora terza è ferma sul quadrante del tempo.
Da duemila anni lo abbiamo sotto gli occhi e sotto le dita: tela dipinta, argento legno o madreperla. Da quando siamo nati, come la luna, come la bandiera, come il cucchiaio o la ruota, quel triangolo è nei nostri sensi quotidiani, abita nel domestico bazar di tutti. E quando moriamo qualcuno, invisibile dietro la nebbia, ce lo appoggia sulla bocca, quella forma fredda e levigata è l’ultima cosa cui dedichiamo amore.
Egli è tranquillità, famigliarità - ormai - quasi ogni volta. E’ l’antico omino nudo che penzola in fondo al rosario; o lungo i viottoli del Tirolo, sotto il tettuccio di abete, si scolora alla pioggia e lo salutiamo con un sospiro tornando a deliziarci del paesaggio.
E’ diventato un oggetto. Abbiamo cercato di mineralizzarlo, lo facciamo patetico o prezioso, d’oro o di mollica di pane, per liberarci della sua agonia e morte di uomo. Più lo riproduciamo e più ci dimentichiamo di lui, di quell’ora terza che è rintoccata milioni di ore fa sulla collina con vera erba, vero sangue, veri minuti.
Il mondo torna alla pace che gli occorre. Egli aveva provato a farne un grande organo di cattedrale, aveva cavato musica da branchi di porci, da pani secchi, da sgualdrine e da morti; ma il mondo ha preferito tornare al silenzio delle sue colline... perchè non suoni più gli ha messo due chiodi nelle mani.
Posato sull’ultimo respiro l’omino si libera dal suo gelo, spezza l’argento, confida il mistero dell’ora terza.
(da Luigi Santucci “Volete andarvene anche voi?”)